Ecco la domanda chiave. Ogni volta che raccontiamo a qualcuno qual è il nostro lavoro, a qualcuno che non sa nulla del nostro settore, appena scopre che siamo disinfestatori, la risposta è questa. È proprio necessario ucciderli questi poveri animali? Certo, scarafaggi e topi sono brutte bestiacce, ma ucciderli…
Si tratta di una domanda ingenua, certo, ma non occorre ricordare che più sono semplici, le domande, più sono importanti. Ogni giorno, nel nostro mestiere, diamo per scontato che topi e scarafaggi vanno uccisi.
È inutile elencare i mille buoni motivi per cui non si può affatto convivere con questi animali, anzi, con questi infestanti. La repulsione che proviamo alla loro vista è atavica, è entrata nella nostra coscienza collettiva dopo che per millenni essi ci hanno conteso il cibo e la tana. Non è da ieri infatti che determinati animali sono considerati nostri nemici. Dal primo giorno che l’uomo ha accantonato del cibo per la cena di domani, scarafaggi e ratti hanno iniziato a contendergli le riserve, riuscendo talvolta a rovinarle. Lo stesso è accaduto con i nostri rifugi, nei quali si sono sempre insediati volentieri anche i ragni, altro animale per il quale molti di noi hanno un’istintiva repulsione. È ormai scritto nei nostri geni; si può ben dire che la natura ci ha fatti rivali.
Oggi però la nostra cultura si è evoluta. Il nostro rapporto con le altre forme di vita è per certi versi più ingenuo rispetto qualche generazione fa, per altri versi più complesso.
Ci siamo staccati, noi figli dell’era industriale, dagli animali e dalla natura in genere, e ora dobbiamo impegnarci a riscrivere il nostro rapporto con essa. Per i nostri avi, animali e piante erano oggetti utili: alcuni di essi erano amici, altri nemici, altri semplicemente indifferenti. Esistevano le piante officinali, da utilizzare in farmacia, le piante e i funghi velenosi, da eliminare, le piante di cui nutrirsi, quelle per fare legna, o tessuti, e poco altro. Nessuno certo, fino a due secoli fa, si era preoccupato di classificare le primule endemiche delle alpi, poiché semplicemente non interessavano.
Ugualmente gli animali potevano essere amici dell’uomo, il cane o il gatto per differenti ragioni, o nutrimento, come animali da cortile o cacciagione o pescagione. Poi c’erano animali da combattere, perché nostri rivali: i lupi, che minacciavano le attività di allevamento; le cavallette, responsabili di devastazioni sulle colture; nemici che sono diventati archetipi, o modi di dire.
C’erano decisamente poche domande da porsi. Valeva la pena di combattere i lupi? Certo che sì, e qualunque mezzo era lecito. Purtroppo, aggiungiamo noi con la cultura di oggi.
L’inimicizia verso gli infestanti ha quindi una lunghissima storia alle spalle, è antica quanto la nostra cultura. Oggi però qualcuno di noi la elabora, secondo schemi diversi.
Seguendo un metodo puramente utilitaristico, sulle orme di quanto pensavano i nostri nonni, piante animali batteri, ogni essere vivente, possono tuttora essere visti semplicemente come utili, inutili o dannosi. È l’opinione di molti, credo della maggioranza di noi. Pochi si opporrebbero allo sterminio totale del virus del morbillo. Questo allorché è dimostrato che questo essere vivente, il virus del morbillo, altro non fa che mettere in pericolo la nostra esistenza. Spingendoci un gradino più in là, non sono molti di meno, quelli di noi che si opporrebbero alla morte di tutte le zanzare. Anche se un ecologo ci potrebbe insegnare che il loro ruolo non è soltanto pungerci, ma dare nutrimento: in fase larvale a parecchi animali acquatici e in fase adulta a pipistrelli ed uccelli.
Sapendo che questo è il danno, abbiamo ancora il diritto di decretare la morte di tutte le zanzare? Ad un recente corso, il cui argomento era la protezione della biodiversità, nel test finale dopo sei giornate di incontri, a tutti ho chiesto se l’uomo con le sue azioni aumenta o diminuisce la biodiversità, e se questo sia o non sia un problema. Ancora una volta, domande che sembrano banali, ma che hanno trovato risposte per me sorprendenti. Non è un caso isolato quello di chi mi ha risposto che è buona cosa che l’uomo diminuisca la biodiversità laddove ci sono ad esempio insetti dannosi, e la aumenti dove invece ci sono esseri viventi utili, quali i funghi dai quali estraiamo antibiotici. Magari fossimo così razionali ed onnipotenti, ho commentato tra me e me leggendo questa risposta.
La verità è che sappiamo davvero poco. Sappiamo soltanto che la natura è così complessa, con una serie praticamente infinita di interconnessioni, tali che ogni nostra azione, la si ritenga buona o cattiva, ha sicuramente effetti che non sappiamo calcolare. Per giunta, spesso non sappiamo neppure all’inizio cosa è utile o inutile a noi in natura, ma questo è un altro discorso ancora.
La soluzione ad un problema così complesso può essere semplicissima: paura di far danni? Meglio non fare nulla.
Dei miei conoscenti sono stati di recente ospiti di una famiglia di Amsterdam: bella casetta nel centro storico, molto suggestiva. Tutto perfetto tranne un piccolo particolare: topolini che girano liberamente per la cucina alla ricerca degli avanzi. Sembrerebbe che la ben nota tolleranza di quella città si sia estesa anche a questi sgraditi ospiti. È certamente una storia gonfiata, ma ci dovrebbe aprire gli occhi sul fatto che nulla è scontato. Neppure l’idea di combattere i topi e scacciarli dalle nostre case.
Torneremo in futuro sull’argomento, ma dobbiamo considerare che l’idea degli esseri viventi visti come nostri strumenti di benessere o malessere non è universale. Non tutti hanno la bibbia come fondamento della loro cultura, ed il nostro compito di “dominare sui pesci sul bestiame e su tutte gli animali selvatici” non è accettato da tutti.
Torniamo ora alla domanda iniziale. C’è chi i topolini li trova così belli da addirittura allevarli come animali da compagnia. Qualcuno ne ha fatto il più popolare protagonista dei cartoni animati. Accennavamo prima alla nostra ingenuità nei confronti della natura: sette miliardi o quasi di esseri umani conoscono il topolino antropomorfo dei cartoni, quanti hanno invece mai visto da vicino un topo vero in carne ed ossa? E noi che li combattiamo? Siamo forse esseri primitivi, o senza cuore?
La risposta non è univoca. Ci sono leggi e regolamenti, sia a livello europeo che statale, che impongono determinati standard igienici, e di conseguenza decretano come sia necessario l’allontanamento di alcune specie infestanti, o la distruzione di altre specie, considerate flagelli potenzialmente pericolosi. Flagelli come il punteruolo rosso delle palme andrebbero distrutti, se solo ne fossimo in grado. Topi e scarafaggi vanno allontanati.
Nessuno si permette di pensare che entrando in un ristorante sarebbe accettabile notare dei ratti che scorrazzano in cucina. Ma anche nelle case private: se qualcuno volesse tollerare gli scarafaggi, metterebbe in pericolo la propria salute e quella dei suoi vicini, esponendoli a un forte rischio di infestazione proveniente dal suo appartamento, il che non è tollerabile.
Il disinfestatore in tutti questi casi deve assolutamente intervenire. E nel suo intervento, il disinfestatore ha un ben preciso ordine di priorità: in primo luogo si propone l’allontanamento dell’infestante, in secondo luogo si impone l’utilizzo di metodi il meno possibile violenti e distruttivi. Abbiamo a disposizione veleni e metodi di dissuasione. I primi portano alla morte di topi e scarafaggi, con i secondi possiamo evitare che nuove infestazioni in futuro si ripropongano nello stesso luogo.
A chi ci obbietta che forse anche questi animali non meritano di morire dobbiamo però prestare il dovuto ascolto. La loro preoccupazione talvolta è legittima, e noi disinfestatori dovremmo rimproverarci di non essercela posta per primi.
In questi casi è necessario il dialogo col cliente. Voglio che lei mi elimini le formiche dal giardino, passeggiavo ieri nel prato e lei non sa quanti formicai ci sono. È davvero un problema, questo? Decisamente no. Ecco un caso, banale ma frequente, nel quale ci si deve dire no, questi animali non devono essere oggetto di disinfestazione. Con un dialogo franco, il cliente deve essere persuaso a non intervenire. Sarà possibile, e in molti casi utile, agire con pratiche di dissuasione, impedendo a queste formiche di trovare ad esempio la via di casa, dove potrebbero formare colonie all’interno dei muri, o depredare i cibi della nostra cucina. Ma nel prato no, lì non abbiamo il dovere, né il diritto, di intervenire.
Eliminare certuni infestanti, allontanarne altri, essere saggi e indifferenti con altri ancora. Questa la complessa soluzione ad una domanda che sembrava ingenua.